P. Mondardini, R. Tanzi, L. Verardi, S. Briglia, A. Maione, E. Drago

NUOVE METODOLOGIE NEL TRATTAMENTO DELLA PATOLOGIA MUSCOLARE TRAUMATICA DELL’ ATLETA

RIASSUNTO
L’attività sportiva, agonistica e non, negli ultimi anni ha coinvolto progressivamente sempre più fasce di età, con conseguente
aumento dei praticanti; di pari passo sono aumentate le problematiche della Medicina dello Sport, soprattutto nel
campo della prevenzione ed il recupero degli infortuni dell’apparato muscolo-scheletrico dello sportivo.
Il servizio di Traumatologia – Cinesiologia e Riabilitazione dell’Istituto di Medicina dello Sport di Bologna sta svolgendo
un’attività di ricerca e sperimentazione su nuove apparecchiature per la terapia fisica strumentale allo scopo di individuare
protocolli terapeutici che, nel rispetto dei meccanismi fisiologici di riparazione del nostro organismo, accelerino efficacemente,
con la minima invasività, i tempi di recupero da infortuni di natura muscolo-scheletrica. Per il trattamento dei traumi
muscolari acuti diretti e indiretti negli atleti si sono valutati gli effetti dell’apparecchiatura per TECARTERAPIA, facendo
riferimento alle caratteristiche tecniche dello strumento ed alle teorie riguardanti le interazioni chimico-biologiche con i tessuti.
Con questo lavoro si presentano i risultati di un protocollo di ricerca biennale inteso a verificare, attraverso valutazioni
clinico-strumentali (dolore, tumefazione, impotenza funzionale, ecografia muscolo-tendinea) prima e dopo un ciclo di
trattamento standardizzato, l’efficacia della Tecarterapia nelle lesioni muscolari di vario grado dell’atleta. Si sono trattati
30 soggetti (27 maschi e 3 femmine) di età media 32 anni (max 58, min. 16), giunti alla nostra osservazione per traumi
muscolari di tipo distrattivo. Ogni paziente è stato valutato dal punto di vista clinico sintomatologico e la diagnosi è stata
posta con esame ecografico con sonda da 7,5 MHz. I soggetti sono stati trattati con cadenza di una seduta al giorno, non
oltre 5 settimanali e ad almeno 72 ore dal trauma, e la terapia è stata continuata fino a risoluzione del quadro ecografico
(riassorbimento ematoma, comparsa delle fibre nell’area di lesione, cicatrizzazione), per un massimo di 18 e un minimo di
5 applicazioni totali (media 8). Nonostante l’entità di alcune delle lesioni trattate non è mai stato necessario eseguire più di
18 trattamenti, per una durata complessiva di 4 settimane di terapia.
Gli ottimi risultati, ottenuti in termini di rapidità di risoluzione del quadro clinico-sintomatologico ed ecografico uniti alla
maneggevolezza dell’apparecchio, ci permettono di indicare la Tecarterapia come strumento di notevole efficacia nel trattamento precoce non chirurgico delle lesioni muscolari.

PAROLA CHIAVE
Medicina dello Sport, traumatologia, traumi muscolari

 

La funzione del muscolo è quella di creare una forza per stabilizzare o per muovere un’articolazione.
La forza che il muscolo produce attraverso la contrazione dipende da diversi fattori, ma è in ogni caso direttamente proporzionale alla sezione traversa del muscolo1.
È un’osservazione comune che l’allenamento produce ipertrofia muscolare, mentre l’immobilizzazione comporta in breve tempo la diminuzione del volume muscolare, della forza, della capacità dell’esercizio e della coordinazione neuromuscolare. È evidente, quindi, come la macchina muscolare sia dotata di grande plasticità, modificando la propria struttura e, quindi,
le prestazioni in rapporto alle diverse richieste muscolari; la plasticità del tessuto muscolare è subordinata alle caratteristiche morfologiche e funzionali del muscolo stesso. Nel corpo umano vi sono 400 muscoli che rappresentano nel loro insieme il 40% del peso corporeo e hanno una lunghezza variabile da 2 mm a 60 cm. Il muscolo è avvolto da una guaina connettivale, L’epimisio, che ai due estremi continua nei tendini o in aponeurosi e prende inserzione nel periostio.
Propaggini fibrose a partenza dell’epimisio dividono il ventre muscolare in fascicoli, circondati da uno strato di collagene detto perimisio. In ogni fascicolo sono presenti 10 o più fibre muscolari addossate l’un l’altra e separate dall’endomisio, rete di sottili fibre collagene. La fibra muscolare è una cellula cilindrica allungata multinucleata di lunghezza variabile da pochi millimetri e più di dieci cm, e di diametro oscillante tra i 20 e i 100 μm. La fibra muscolare è delimitata da una membrana detta sarcolemma e all’interno è composta da:
– sarcoplasma (meno del 10% del volume cellulare);
– sistema di membrane interne disposto tra le miofibrille e costituito da tubuli trasversi (invaginazione del sarcolemma) e reticolo sarcoplasmatico; 
– centinaia o migliaia di miofibrille stipate e parallele tra loro che occupano circa il 90% del volume cellulare. Le miofibrille sono sottilissimi cilindri del diametro di 1-3 μm, caratterizzati dall’alternanza regolare di dischi A scuri (anisotropi) e dischi I chiari (isotropi) responsabili della striatura muscolare (muscolo striato). Il disco chiaro I è separato a metà da una linea più
scura, la linea Z: la parte di miofibrilla compresa tra due linee Z è il sarcomero, ossia l’unità contrattile del muscolo scheletrico. Il sarcomero è a sua volta costituito da fasci di filamenti intercalati regolarmente tra loro, i miofilamenti.
Questi sono distinti in base allo spessore in filamenti spessi, dotati di ‘ponti trasversali’ e formati da molecole di miosina, e filamenti sottili, formati da molecole di actina tropomiosina e troponina (affinità con Ca++).
L’accorciamento della fibra muscolare con generazione di forza contrattile è il risultato di uno scivolamento reciproco dei due set di filamenti di ciascuna metà del sarcomero.
Un muscolo di una data lunghezza è formato da una certo numero di miofibrille poste in parallelo e di lunghezza uguale a quella del muscolo stesso; a sua volta ciascuna miofibrilla è formata da un certo numero di sarcomeri di lunghezza uguale tra loro e disposti uno di seguito all’altro, ossia in serie.
La forza prodotta da un muscolo con la contrazione  è proporzionale al numero di miofibrille poste in parallelo, e cioè alla sezione trasversa del muscolo stesso; la velocità di accorciamento del muscolo che si contrae è, invece, proporzionale al numero dei sarcomeri posti in serie, cioè alla lunghezza del muscolo medesimo2.
Nella contrazione del muscolo si ha trasformazione di energia chimica in energia meccanica.
L’energia chimica è fornita dall’ATP idrolizzata a ADP con liberazione di energia secondo la formula: ATP+H2O=ADP+H++P+E
Dove E rappresenta l’energia resa disponibile per la contrazione delle fibre muscolari. La riserva di ATP entro la fibra è però molto limitata e sufficiente solo per poche contrazioni, quindi è necessario il ripristino del pool di ATP attraverso risintesi. Questa avviene mediante tre vie utilizzate in modo complementare in funzione dell’intensità e della durata dell’esercizio:
1) Via anaerobica alattacida: idrolisi della fosfocreatina muscolare secondo la reazione: PC+ADP+H+=CR+ATP
2) Via anaerobica alattacida: glicolisi anaerobica con trasformazione del glicogeno muscolare in acido lattico secondo la reazione: ADP+P+glicogeno=ATP+lattato
3) Via aerobica (glicolisi aerobica): in presenza di O2, gli acidi grassi, il lattato e piruvato entrano bel ciclo di Krebs mitocondriale che da luogo alla formazione di CO2 e H2O con liberazione di energia (fosforilazione ossidativa secondo la
reazione: glicogeno o lipidi+ +O2+ADP+P=ATP+CO2+H2O)3
Dette vie si differenziano in base ai parametri che seguono:
” potenza: massima quantità di energia disponibile per unità di tempo;
” capacità: quantità totale di energia prodotta dal sistema;
” latenza: tempo necessario per ottenere la massima potenza;
” ristoro: tempo necessario per la ricostituzione del sistema.
L’unità funzionale del muscolo è l’unità motoria composta dal nervo di moto o motoneurone, situato nelle corna anteriori del midollo spinale e dalle fibre muscolari, innervate dall’assone (nervoso) con le sue ramificazioni terminali. 
Lo stimolo del nervo motorio viene trasmesso alla fibra muscolare a livello della placca neuromuscolare.
Lo stimolo nervoso, giunto al terminale presinaptico del nervo, libera quanti di acetilcolina che attraversano lo spazio sinaptico e depolarizzano la zona postsinaptica motoria.
Da qui la depolarizzazione si propaga al sarcolemma lungo tutta la fibra muscolare4. Studi sperimentali5 hanno dimostrato che le fibre muscolari appartenenti alla stessa unità motoria hanno in comune le caratteristich e morfologiche, biochimiche e funzionali controllate in gran parte del motoneurone stesso.
In base a queste caratteristiche le fibre muscolari sono distinte in: 
” fibre di tipo 1, rosse (alto contenuto di mioglobina) a contrazione lenta, a metaolismo ossidativo, con grande resistenza alla fatica, innervate da motoneuroni più piccoli;
” fibre di tipo 2B, bianche (scarso o assente contenuto di mioglobina), a contrazione rapida, a metabolismo anaerobio, poco resistenti alla fatica, innervate da motoneuroni più grossi;
” fibre di tipo 2A con caratteri intermedi rispetto alle prime due.

LESIONI MUSCOLARI ACUTE DA TRAUMA DIRETTO
Lesioni da causa esogena in cui il muscolo viene colpito con violenza da un agente esterno contundente (contusione).

Aspetti clinici e diagnostici
Nella contusione di modesta entità i segni obiettivi caratteristici sono: iperemia cutanea, tumefazione superficiale in sede di lesione ed ecchimosi (anche declive) a distanza di alcuni giorni. 
Nelle forme più gravi compare una tumefazione di consistenza duro-elastica provocata dall’ematoma localizzato in sede più profonda; in alcuni casi l’ematoma è situato in prossimità del piano scheletrico, pertanto ne risulta difficile l’individuazione
con i soli reperti obiettivi. 
La sintomatologia6 è caratterizzata da dolore di vario grado in sede lesionale e perilesionale che si accentua alla contrazione attiva ed all’allungamento passivo, nonché da impotenza funzionale. 
In presenza di manifestazioni cliniche di questo tipo l’indagine ecografica permette di valutare con molta precisione gli aspetti anatomopatologici della lesione:
– muscolo localmente o diffusamente aumentato di volume ed ipoecogeno per semplice imbibizione edematosa;
– presenza di area anecogena intramuscolare da raccolta ematica localizzata. All’interno della raccolta talora è possibile osservare piccole aree iperecogene di tessuto necrotico e coaguli. 

DA TRAUMA INDIRETTO
Lesioni da causa endogena in cui il muscolo in fase di contrazione viene allungato passivamente da una forte distrazione, oppure si ha una contrazione troppo veloce a partire da una condizione di completo rilassamento.

Fattori predisponenti

” Intrinseci: squilibrio di forza tra muscoli agonisti–antagonisti, insufficiente o scorretto stato muscolare, inadeguato riscaldamento, eccessivo affaticamento.
” Estrinseci: tenuta di gioco inadeguata (movimenti incongrui), condizioni ambientali e climatiche sfavorevoli (es.: basse temperature).

Aspetti clinici e diagnostici
Elongazione
Causata da uno stiramento muscolare che non produce alcun punto di concentrazione lesiva, poiché è di intensità inferiore alla capacità massima di tensione del muscolo7. 
Il dolore, sordo e non ben localizzato, insorge all’improvviso, costringendo spesso l’atleta ad interrompere il gesto atletico. Qualora il dolore non sia di intensità tale da costringere l’atleta a fermarsi, il danno può essere aggravato dalla mancata interruzione dell’esercizio.
Mentre il riposo attenua la sintomatologia dolorosa, la palpazione, superficiale e profonda e le manovre contro resistenza l’accentuano. Quasi costante è la contrattura di difesa6. All’ecografia, in questi casi, si rileva un’area muscolare ipoecogena da edema perifibrillare, senza soluzione di continuità.

Lesione di I grado (distrazione-contrattura)
Il danno anatomo-patologico risulta di modesta entità poiché la soluzione di continuo interessa poche fibre muscolari8. Il dolore, in questi casi più localizzato ed acuto rispetto all’elongazione, è accompagnato da minima impotenza funzionale,
ma costringe quasi sempre l’atleta ad interrompere l’attività sportiva.
La sintomatologia dolorosa è accentuata dalla palpazione superficiale e profonda, dalla contrazione attiva e dallo stiramento passivo del muscolo.
Ecograficamente è possibile apprezzare una piccola area anecogena intramuscolare, indice di un versamento ematico e soluzione di continuo fibrillare di minima entità.

Lesione di II grado (stiramento-strappo)
Il danno anatomo-patologico è di media entità con interessamento di un più elevato numero di fibre muscolari9.
L’atleta, in questi casi, avverte un dolore intenso accompagnato da impotenza funzionale più o meno rilevante.
A parte il rilievo palpatorio di una tumefazione nodulare in corrispondenza del punto di lesione, le caratteristiche obiettive sono simili a quelle delle lesioni di I grado, anche se più evidenti e di maggiore entità. 
Ecograficamente è possibile apprezzare l’interruzione delle fibre muscolari (inferiore al 30% della sezione muscolare totale), assieme ad una cavità anecogena riferibile ad ematoma di varia entità.

Lesione di III grado (lacerazione)
Il notevole numero di fibre lese comporta l’interruzione anatomica, parziale o totale, del muscolo. È la più grave patologia muscolare traumatica acuta, la cui prognosi è da considerarsi riservata per quanto riguarda il completo recupero nelle attività sportive di elevato livello10. 
l dolore è molto intenso e spesso caratteristico: crampiforme, trafittivo o consuntivo (‘sassata’ o ‘colpo di bastone’). L’arto interessato è posizionato in atteggiamento antalgico, allo scopo di mantenere il muscolo nelle posizioni di maggior rilassamento. La rottura di diversi capillari muscolari determina una precoce infiltrazione ematica che, di solito in 48-72 ore, confluisce in un vasto ematoma.
Obiettivamente si apprezza una tumefazione locale di consistenza duro-elastica mentre la palpazione, oltre a risvegliare vivo dolore, permette di percepire un avvallamento muscolare da perdita di continuità e retrazione delle fibre muscolari lese.
Ecograficamente si osserva una vasta area anecogena, da cospicuo versamento ematico, che separa due regioni iperecogene corrispondenti ai capi muscolari retratti (aspetto a ‘batacchio di campana’)
Talora, quando la rottura coinvolge anche le fasce avvolgenti il muscolo, il versamento e m atico, sotto forma di area transonica, può incunearsi tra le guaine dei muscoli adiacenti. 

EVOLUZIONE
Indipendentemente dall’entità (o grado) della lesione il processo di guarigione inizia molto precocemente. La regolarità della sua evoluzione condiziona il ripristino, più o meno valido, delle caratteristiche di elasticità, distensibilità e contrattilità tipiche del tessuto normale7.
Nelle forme di modesta gravità prevalgono i fenomeni di rigenerazione cellulare su quelli di  riparazione cicatriziale: le cellule satelliti mononucleate (situate tra la membrana cellulare delle  fibrocellule e la lamina basale) si attivano, proliferano, si trasformano in mioblasti e si fondono longitudinalmente in miotubuli per poi differenziarsi definitivamente in cellule muscolari mature.
Al contrario nelle lesioni di maggiore entità i fenomeni di guarigione risultano più complessi poiché, accanto alla rigenerazione, si assiste alla formazione di tessuto riparativo cicatriziale.
Nell’area circostante la lesione, compare precocemente una reazione flogistica con intensa vasodilatazione locale, migrazione di cellule infiammatorie polinucleate e di macrofagi verso l’area necrotica.
Il processo di guarigione risulta favorevolmente influenzato dalla proliferazione di neovasi capillari che, dalla periferia verso il centro, portano O2 e nutrimenti necessari ai processi metabolici dei tessuti in fase di rigenerazione-riparazione10.
Di pari passo all’attivazione delle cellule satelliti (che evolvono a formare le fibre muscolari), inizia la proliferazione fibroblastica, che determina la produzione di tessuto di granulazione ed infine della cicatrice connettivale. In queste fasi la tensione locale di O2 gioca un ruolo fondamentale.
Infatti, in presenza di una valida neovascolarizzazione e di un idoneo apporto di ossigeno, prevalgono i processi di rigenerazione mioblastica; di contro, nel caso di insufficiente apporto di O2 prevalgono quelli cicatriziali.
Sono quindi molto importanti le fasi iniziali del trattamento che deve tendere a stimolare la capillarizzazione, onde evitare una formazione disordinata ed esuberante di tessuto connettivo fibroso che possa pregiudicare la funzionalità muscolare (guarigione).

TERAPIA FISICA STRUMENTALE
Dal punto di vista molecolare la materia vivente è costituita da un insieme di molecole instabili in continuo movimento. Le molecole appena costituite tendono, in brevissimo tempo, a scindersi in ioni che si mettono in movimento a ricostituire neo-molecole (Moti di Brown). Il moto browniano determina modificazioni dell’equilibrio chimico-elettrico della materia (scambio ionico) che rappresenta la base dell’attività cellulare della vita, ma nulla di tutto questo si realizzerebbe se il sistema chimico- biologico cellulare non avesse a disposizione energia.
Questa rappresenta la capacità delle forze fisiche di compiere un ‘lavoro’, calcolabile come prodotto della potenza (watt) per il tempo (sec.).
In fisica ne sono descritte diverse forme: termica, cinetica, elettrica, elettromagnetica, ecc., che possono trasformarsi l’una nell’altra; ad esempio l’energia elettrica può trasformarsi in energia termica o meccanica e viceversa.
L’applicazione a un tessuto biologico di un campo elettromagnetico artificiale, dotato delle opportune caratteristiche di potenza, frequenza e lunghezza d’onda, fornisce energia al substrato, modificandone l’equilibrio chimico-elettrico compromesso dall’evento patologico.
È questa la teoria che giustifica l’utilizzo di campi elettromagnetici in terapia fisica12.

CAMPI ELETTROMAGNETICI
Con una semplificazione, la corrente elettrica può essere definita come il passaggio di elettroni da un atomo all’altro della materia (conduttori di 1ª specie) o come spostamento di ioni in un liquido complesso (conduttori di 2ª specie).
Un conduttore percorso da corrente genera al suo interno un insieme di linee di forza ad andamento circolare: l’insieme di queste linee costituisce il campo elettromagnetico. Se il conduttore è avvolto a spirale (solenoide), le linee di forza si disporranno nello spazio secondo un  andamento sferico-cilindrico con un polo magnetico ‘nord’ ed uno ‘sud’ ai due estremi del campo. La posizione di questi poli dipende dal senso di “scorrimento” della corrente all’interno del conduttore; quando questa si inverte anche i due poli invertono la loro posizione.
All’aumentare della frequenza di inversione della corrente il campo elettromagnetico si espande nello spazio fino a che, per frequenze superiori ai 10.000 cicli al secondo le linee di forza si spezzano e si proiettano nello spazio trasportando energia (radiazione). 
A frequenze al di sotto dei 100 Hz si colloca la magnetoterapia, fra 20 e 40 MHz la Marconiterapia, tra 2 e 3 GHz la radarterapia e oltre 1 THz (miliardi di cicli al secondo) la laserterapia. L’onda elettromagnetica trasferisce quindi energia da un generatore nello spazio. 
Quando un conduttore di 1ª o 2ª specie viene investito dall’onda, al suo interno si dissipa l’energia trasportata dall’onda stessa.
La materia vivente si comporta come un conduttore di 2ª specie ed il passaggio di corrente avviene con il movimento fisico di ioni in liquidi intra ed extracellulari.
Il trasferimento energetico tramite onda elettromagnetica può avvenire con diverse modalità, in relazione con la frequenza di pulsazione del campo:
– per concatenamento di conduttori di 1ª e 2ª specie (legge di Faraday-Noimann);
– per effetto antenna; ! per proiezione;
– per contatto capacitivo e resistivo.
La magnetoterapia sfrutta l’effetto Faraday-Noimann: si inserisce la parte da trattare all’interno di un campo elettromagnetico generato da un solenoide.
Gli effetti biologico-terapeutici cambiano in funzione del campo applicato (induzione magnetica, misurata in Gauss) e della durata del trattamento:
– cambiamento di fase fisico-chimica (precipitati, opalescenza, orientamento molecolare di composti chimico-organici, ecc.);
– azione delle forze di Lorenz sulle cariche in movimento (es: aumento del flusso salino);
– effetti elettrici indotti, macroscopici (correnti sulle superfici ossee) e microscopici (variazioni del potenziale di membrana cellulare); 
– effetti micromeccanici magnetoindotti (modificazione della forma delle cellule e delle microstrutture).
L’effetto terapeutico è riconducibile quindi ad un’azione di stimolo metabolico (lieve a causa della limitata potenza), del circolo e delle strutture a metabolismo rallentato.
L’effetto antenna è quello sfruttato negli apparecchi per Marconi e radarterapia. 
Le apparecchiature per Marconiterapia sono costituite da un vero e proprio trasmettitore marconiano per radiotrasmissione. L’energia, trasferita al paziente tramite un sistema di antenne a bracci piani, è dell’ordine dei 400w ad una frequenza tra i 20 e 40 MHz.
Di concezione analoga alla Marconiterapia, la radarterapia si avvale di una tecnologia più moderna: la frequenza di lavoro, molto più alta (2-3 GHz), consente l’uso di antenne ad emettitore parabolico che proiettano energia in fascio stretto. L’area irradiata è molto più definita pertanto, a pari densità (W/cm2), la potenza complessiva in gioco è molto minore. Ciò favorisce 
una migliore definizione dell’area da trattare ed un miglior controllo degli effetti. Questi sono rappresentati principalmente dalla vasodilatazione ad origine macroscopicamente esotermica, accompagnata però, purtroppo, da disidratazione tissutale superficiale e lieve flogosi. 
A frequenze superiore ad 1 THz si propaga per proiezione la radiazione elettromagnetica degli apparecchi per laserterapia.
Le principali interazioni con il tessuto sono di tipo fotochimico, fototermico e fotomeccanico.
L’energia elettromagnetica viene cioè trasformata in calore, energia chimica e meccanica.
Gli effetti terapeutici variano in funzione del tipo di laser ma principalmente sono:
– interazione con i tessuti di conduzione (antalgia);
– attivazione reazioni biochimiche di difesa (antiflogistico);
– stimolo metabolico.

La Tecarterapia sfrutta una forma differente di interazione elettromagnetica che fa riferimento al modello fisico del condensatore: il contatto capacitivo e resistivo. Il condensatore è un dispositivo costituito da due elementi di materiale conduttore, affacciati e separati da un sottile strato isolante quando i due elementi sono collegati ad un generatore elettrico di differenza di potenziale. A causa dell’attrazione reciproca fra cariche di segno opposto si ha un aumento della densità di carica sulla superficie di ciascun elemento prossiamale allo strato di isolante interposto. Man mano che il condensatore accumula cariche la corrente si riduce, fino ad annullarsi quando il sistema è carico. A questo punto, se la polarità del  generatore si inverte, si avrà corrente in senso inverso che caricherà il sistema con polarità opposta alla precedente.

Trasferendo il concetto per un’applicazione biologica, avremo un condensatore costituito da un’armatura metallica isolata (elettrodo mobile) collegata ad un generatore ad alta frequenza (0,5 MHz) ed una armatura costituita da tessuto biologico
che, come abbiamo visto, è un conduttore di 2ª specie13.
Con l’applicazione degli elettrodi isolati il movimento e la concentrazione di cariche si sviluppa soprattutto nello spessore dei tessuti molli immediatamente sottostanti l’elettrodo mobile. 
Mentre utilizzando un elettrodo non rivestito da isolante (resistivo), a parità di frequenza di emissione, la concentrazione di cariche, e quindi l’effetto biologico, si verifica nei punti più resistivi del tessuto frapposti fra l’elettrodo attivo e una piastra di ritorno. Detti punti più resistivi sono rappresentati da osso, tendini, legamenti e fasce muscolo-tendinee che, sottoposti al trattamento, si comportano come il materiale isolante che riveste l’elettrodo capacitivo14.

LA TECARTERAPIA
Ogni attività della cellula si realizza attraverso modificazioni dell’equilibrio chimico-elettrico di suoi componenti per cui, ogni modificazione di questo equilibrio altera l’attività della cellula. Ogni singola cellula partecipa alla funzione del tessuto attraverso interazioni morfologiche e di tipo chimico-elettrico15.
Quando un’onda od un campo elettromagnetico interagisce con un sistema cellulare ed è dotata delle opportune caratteristiche, determina modificazioni nell’attività del sistema. In particolare sulla base dei concetti sopra esposti si è elaborata la seguente teoria, attualmente in fase di dimostrazione sperimentale.
– A bassi livelli energetici (50-100W), pur non verificandosi dissipazione endotermica, si ha stimolazione ultrastrutturale cellulare (vedi magnetoterapia), da cui consegue un aumento delle trasformazioni energetiche (produzione ATP) e del
consumo di O2. Da ciò discende l’attivazione indiretta, per aumento delle richieste metaboliche del tessuto, del microcircolo arterioso e venolinfatico senza dilatazione dei grandi vasi. 
– A medi livelli energetici (100-200W), oltre all’effetto biostimolante, si verifica un incremento della temperatura endogena, dipendente dall’aumento dei moti browniani. Questo innalzamento termico stimola la dilatazione dei vasi di calibro maggiore aumentando ulteriormente il flusso ematico.
L’effetto termico è in stretta relazione con le correnti di spostamento che, dalle zone più periferiche, si concentrano nelle aree di applicazione e risulta direttamente proporzionale alla loro intensità. Non raggiunge mai, quindi, livelli dannosi, come invece può accadere con i sistemi radianti tradizionali (radar, Marconi, ecc.).
– Ad alti livelli energetici (200-300W) risulta minore l’effetto di biostimolo cellulare e maggiore, invece, l’effetto endotermico, con notevole aumento del flusso emolinfatico.
Da ultimo, quindi, si ottiene una stimolazione e una precoce riossigenazione dei tessuti lesi, una pronta rimozione dei cataboliti tossici e un più rapido ripristino dei normali potenziali di membrana. Inoltre un’accelerazione dei tempi di attivazione dei sistemi di difesa e riparazione, compromessi in caso di patologia:

1) Nocicettori e fibre nervose periferiche: reintegro del potenziale di membrana, iperpolarizzione di membrana fino al blocco di conduzione per scambio ionico indotto.
2) Vasi sanguigni e linfatici: grande aumento della velocità del macro e microcircolo ematico e del drenaggio venolinfatico.
3) Muscoli: lo stimolo metabolico determina un aumento della velocità di riparazione del danno fibrillare, mentre la scomparsa degli eventuali edema e/o ematoma facilita un rapido e completo recupero funzionale delle fibre.
4) Capsula, cartilagine e osso articolare: per i meccanismi suddetti, rapido riassorbimento del liquido sinoviale e ritorno alla normalità delle strutture alterate.
Da quanto sopra discende che la Tecarterapia sembra trovare razionale di applicazione soprattutto laddove il principale evento patologico è l’alterazione microcircolatoria con lesione tissutale.
Applicando questi concetti alla terapia delle lesioni muscolari acute, l’effetto che si ottiene è:
– nelle lesioni di basso grado un’accelerazione dei normali processi di recupero;
– nelle lesioni più gravi il prevalere dei processi di rigenerazione mioblastica e capillarizzazione su quelli di cicatrizzazione fibrosa, con migliore ripristino della funzionalità del muscolo leso.

OBIETTIVI
Da sempre, sia in campo chirurgico, farmacologico che strumentale, l’attività di ricerca in campo terapeutico persegue l’obiettivo della massima efficacia con la minima invasività. 
Soprattutto nel settore della terapia fisica questo ha portato allo sviluppo di una grande varietà di apparecchiature elettromedicali che si sono però, purtroppo, rivelate negli anni passati di poca o nessuna utilità. Le principali cause della  scarsa efficacia della terapia strumentale erano da ricercarsi nella inadeguatezza degli strumenti di più vecchia concezione e costruzione e nella mancanza di una ricerca clinica e di laboratorio seria.
Sono diverse, infatti, le sorgenti di energia utilizzate e le interazioni fisico-biologiche che sono state e vengono sfruttate, spesso in assenza di un’opportuna sperimentazione e di un vero razionale terapeutico.
Presso l’Istituto di Medicina dello Sport CONI FMSI di Bologna da diversi anni l’attività del  Servizio di Traumatologia, Cinesiologia e Riabilitazione è volta alla sperimentazione di nuove apparecchiature ad ultrasuoni, magnetoelettriche e laser, allo scopo di identificare gli strumenti più efficaci e di individuare le possibilità e modalità di intervento nella traumatologia
dello sport (Tabella 1). In questo contesto abbiamo sviluppato un protocollo di ricerca biennale sull’utilizzo, in terapia fisica, di una nuova apparecchiatura magnetoelettrica che sfrutta il Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo (Tecar) per il trattamento della patologia distrattiva post-traumatica del muscolo.

MATERIALI E METODI
Lo strumento da noi utilizzato è un’apparecchiatura per Tecarterapia con potenza di picco di 300W regolabile a step del 10% e frequenza di emissione di 500.000 Hz.
In questa ricerca l’apparecchio è stato da noi impiegato nel trattamento della patologiamuscolare utilizzando come metodi  standard di impiego terapeutico il massaggio circolare e longitudinale cranio-caudale. L’apparecchiatura è dotata di un quadro comandi che permette di  variare l’energia di erogazione, consentendo di adattare il protocollo terapeutico sulla base del tipo di risposta al rialzo termico del paziente. 
Per garantire la massima uniformità di applicazione le sedute sono state effettuate tutte dallo stesso operatore e le caratteristiche di emissione dell’apparecchiatura sono state testate periodicamente.
Il campione di atleti da noi trattati in questa ricerca consta di 30 casi di cui 27 sono maschi e 3 femmine, di età compresa fra 16 e 58 anni (media 32), praticanti discipline sportive diverse, giunti alla nostra osservazione per traumi muscolari di tipo distrattivo (Tabella 2). 
La diagnosi è stata posta con esame ecografico con sonda da 7,5 MHz ed ogni paziente è stato valutato dal punto di vista clinico sintomatologico, in particolare:
a) il sintomo dolore mediante valutazione con scala analogico-visiva VAS da 1 a 10;
b) la funzionalità muscolo-articolare attiva e passiva con manovre contro resistenza.
Si sono eseguiti controlli ecografici, seriati, eseguiti dallo stesso operatore e con la medesima apparecchiatura, con cadenza settimanale per valutare le modificazioni organiche, indotte  durante il periodo di trattamento, nella regione interessata dalla lesione muscolare. 
I soggetti sono stati trattati con cadenza di una seduta al giorno, non oltre 5 settimanali e ad almeno 72 ore dal trauma, e la terapia è stata continuata fino a risoluzione del quadro ecografico (riassorbimento ematoma, comparsa delle fibre nell’area di lesione, cicatrizzazione), per un massimo di 18 e un minimo di 5 applicazioni totali (media 8). Nel periodo precedente al trattamento i pazienti non sono stati sottoposti a nessun tipo terapia, farmacologica o di altro tipo, se non l’applicazione di ghiaccio nella zona interessata dalla lesione. Ogni trattamento, della durata complessiva di 30 minuti, ha previsto l’utilizzo degli elettrodi non isolati (automatico e resistivo) ed isolato (capacitivo) alla massima potenza consentita dalla sensibilità del 
paziente al rialzo termico tissutale. 
L’applicazione è stata eseguita, come ricordato, con tecnica standard, e cioé massaggio circolare del muscolo interessato dalla lesione con estensione alle strutture muscolo-tendinee immediatamente adiacenti, nonché massaggio longitudinale cranio-caudale. La durata del massaggio è stata di 10 minuti per gli elettrodi resistivo automatico, resistivo e capacitivo.
Il segmento articolare interessato dalla lesione non è stato immobilizzato ed è stata permessa la deambulazione durante tutto il periodo di trattamento.
 
 
In nessun caso si sono evidenziati effetti collaterali di alcun tipo, né dal punto di vista ecografico che clinico-sintomatologico, anzi, in genere fin dalle prime sedute, i pazienti hanno riferito un miglioramento del sintomo ‘dolore’ ed è stata verificata la riduzione dell’impotenza funzionale.
Ogni atleta è stato sottoposto a follow-up dopo due settimane dalla fine del trattamento, durante la fase di riabilitazione attiva, senza che si presentassero modificazioni di rilievo in senso negativo del quadro clinico presente al controllo di fine terapia. Nonostante l’entità di alcune delle lesioni trattate non è mai stato necessario eseguire più di 18 trattamenti, per una durata complessiva di 4 settimane di terapia (Tabella 3).

CONCLUSIONI

Gli ottimi risultati ottenuti in termini di rapidità di risoluzione del quadro clinico-sintomatologico ed ecografico, uniti alla maneggevolezza dell’apparecchio, ci permettono di indicare la Tecarterapia come strumento di notevole efficacia nel trattamento precoce non chirurgico delle lesioni muscolari. In particolare la focalità di azione garantita dal sistema capacitivo-resistivo comporta una buona specificità di intervento nelle aree interessate dalla lesione: la facilità di controllo dell’ampiezza dell’area trattata permette di escludere coinvolgimenti di eventuali zone tissutali particolarmente delicate (soluzioni di
continuo della cute, mucose, ecc.).
L’assenza di effetti collaterali, rilevata con la ricerca, conferma la teorizzata sicurezza del trasferimento energetico capacitivo-resistivo. 
Risultati biologicamente apprezzabili in profondità sono ottenibili senza proiezione o concentrazioni troppo elevate di energia.
Per effetto del trasferimento capacitivo-resistivo, infatti, non è presente corrente di contatto, ma movimento di attrazione e repulsione di cariche (ioni). Non è stato possibile effettuare un’indagine statistica sui tempi di recupero a causa della scarsa letteratura reperibile sull’argomento.
Sulla base della nostra esperienza ci sentiamo di affermare, però, che si tratta di tempi estremamente rapidi con miglioramento, inoltre, delle possibilità riabilitative. Ciò è consentito dall’efficacia terapeutica del trattamento, riscontrata
nella sperimentazione, sui sintomi dolore e impotenza funzionale, la cui rapida remissione permette di iniziare precocemente manovre riabilitative corrette.

 
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